@ Martirio dei Santi Crispino e Crispiniano

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Pietro D’Asaro – Detto il Monoloco di Racalmuto (Racalmuto 1579 -1647)

1618, Martirio dei Santi Crispino e Crispiniano, firmato e datato,  oggi custodito nella chiesa di San Carlo Borromeo di Termini Imerese.

Il dipinto viene ricordato per la prima volta dal Di Marzo (1859) nell’Oratorio omonimo di Termini Imerese, per il quale venne probabilmente commissionato dalla Confraternita dei calzolai che hanno i due Santi come protettori.

Il Di Marzo inoltre è l’unico che ne riporta la datazione esatta. Infatti successivamente il Lanza (1884) e il Patiri (1899) lo ricordano già nella collocazione attuale ma non ne riportano la data, mentre, il Cusimano (1926) lo dice datato 1623 (sic.), come pure l’autore anonimo (1930) il quale afferma che dopo la chiusura del loro oratorio la Corporazione dei calzolai si trasferì nella Chiesa di S. Carlo, ma non menziona la data.

Recentemente l’opera è stata studiata dalla Viscuso (1977) che ne sottolinea «l’attenzione», sia pure epidermica « al linguaggio caravaggesco» forse perché il d’Asaro fu stimolato dalla « conoscenza dei seguaci messinesi del Caravaggio» e in particolare di Mario Minniti, alla cui Decollazione del Battista del Museo Regionale di Messina, accosta alcuni particolari del dipinto in questione.

Del resto Franca Campagna (comunicazione orale), a seguito del recente restauro e con uno studio più approfondito per questo Catalogo, data il dipinto del Minniti alla metà del secondo decennio del XVII secolo, facendo cadere la datazione approssimativa (1628-’29) che ella stessa aveva proposto in un saggio precedente (1983).

E probabile che il dipinto di Termini sia stato preceduto dal disegno (210×280,50 – penna e acquarello grigio su carta bianca) che attualmente si trova nella Galleria Regionale della Sicilia di Palermo, nella carpetta «Vito D’Anna», contenente fogli non numerati, proveniente dalla Collezione Sgadari di Lo Monaco.

Il disegno di gusto manieristico raffigura una scena di martirio con soldati e astanti che assistono al supplizio, e ricorda sia per l’impianto compositivo che per l’idea il dipinto in questione; inoltre il tratto disegnativo è tipico dei primi dipinti del Monocolo, così come le architetture turrite sullo sfondo.

Comunque il modello per la scena del martirio dei due Santi leggendari, decapitati come Cosma e Damiano altrettanto popolari in Sicilia, e protettori in genere di tutte le corporazioni che lavorano il cuoio, può essere stato tratto da altri dipinti o stampe raffiguranti martirii di santi, temi molto diffusi soprattutto verso la fine del secolo XVI perché in perfetto accordo con il carattere didascalico e la tendenza pietistica dell’arte controriformata.

Infatti per fare qualche esempio, la testa mozzata del più giovane dei due fratelli, Crispiniano, è quasi copiata alla lettera da quella di santa Susanna nel dipinto raffigurante il suo Martirio, sull’altare maggiore  della Chiesa omonima di Roma, eseguito tra il 1596 e il 1597, da  Tommaso Laureti, un siciliano residente a Roma, accademico di S. Luca ), pittore allora prediletto da Papa Clemente VIII e amico del Paleotti.

Il corpo riverso del S. Crispiniano inoltre può essere accostato a quello di S. Margherita nella stampa  che ne raffigura il Martirio, tratta dal «Rerum Sacrarum» líber di Lorenzo Gambara, illustrato con molte scene di martirii da Bennardo Passari e pubblicato a Roma nel 1577; oppure ai due corpi decapitati di S. Cecilia e S. Valeriano, raffigurati in una delle stampe di Bernardino Passari che illustrano la «Vita di S. Cecilia».

E per fare ancora un esempio, geograficamente più vicino al Monocolo, il corpo di Crispiniano  ricorda quello della Santa decapitata presente in primo piano nel Martirio di S. Giorgio di Jacopo Palma il Giovane, eseguito per la chiesa  Palermitana di S. Giorgio dei Genovesi nel 1604 e giunto nel capoluogo Siciliano l’anno successivo.

Ciò dimostra che il d’Asaro, negli anni in cui la sua attività non è testimoniata da opere firmate o documentate, a parte il tirocinio che inizialmente poté compiere nell’ambito artistico siciliano dominato dalle due personalità degli •Zoppo di Gangi» (il Salerno e il Vazano) su cui ebbe un certo peso il manierismo fiorentino di Filippo Paladini, molto probabilmente ebbe modo di accostarsi direttamente alla pittura controriformata romana, non solo tramite stampe.

Del resto la Roma degli ultimi decenni del XVI secolo vede molte presenze siciliane, di cui il Laureti era l’esponente più insigne; non è escluso che Pietro d’Asaro, da buon cattolico osservante, si fosse recato nella città eterna in occasione dell’anno santo del 1600 e poi vi si fosse fermato attirato dalle manifestazioni artistiche  e incoraggiato da qualche suo conterraneo .

Questa ipotesi confermerebbe l’osservazione di uno dei suoi più antichi biografi (P. Fedele, 1788) il quale afferma che il pittore avrebbe fissato il suo domicilio nel paese nativo «dopo ritornato da Roma dove fece il suo studio».

Ma gli spunti culturali presenti nel dipinto termitano servono.a far capire come il Monocolo, pur nel tentativo di sperimentare la lezione caravaggesca, rimane sostanzialmente un manierista, ripetitore di certi valori formali, desunti qua e là e combinati ecletticamente insieme.

Non a caso il Di Marzo (1882) nota nella sua pittura influenze venete, (in questo caso di Palma il Giovane) oltre a quelle già accennate.

Così questa scena di martirio  dall’atmosfera cupa e tenebrosa, ma calda, che avvolge persone e cose da farne appena intuire le sagome è attraversata da lame di luce fredda che colpisce l’elmo del soldato e le armi facendoli brillare di luccichii sinistri e sfiora appena i corpi dei martiri, per cui risulta appunto come dice la Viscuso, «più macabra che drammatica», ben lontana dalla concezione luministica caravaggesca.

Maria Pia Demma