@ A calata di tili

a calata di tiliEra uno dei riti più attesi dell’anno e si svolgeva in periodo di quaresima nella antica chiesa dell’Annunziata.

L’ Annunziata, con la sua splendida cupola maiolicata e il pregevole presepe in marmo del Machino, è uno dei simboli della nostra città; la chiesa, anticamente frequentatissima,   seppur ancora oggi agibile  versa in un uno stato di degrado a causa di lavori di restauro mai ultimati e probabilmente male eseguiti.

In questi ultimi anni diverse associazioni si sono fatte carico di organizzarvi eventi  per sollecitarne il recupero; tra queste la Pro Loco, Sicilia Antica e di recente la neonata associazione Termini D’amuri che ne ha ottenuto la fruizione in comodato d’uso.

A calati di tili o di vili  era un particolare rito, difficile da vedere in altri contesti religiosi, che si svolgeva in periodo di quaresima ed in particolare nei giorni di venerdì; per tali occasioni la chiesa anche se di buone dimensioni non riusciva a contenere tutti i fedeli che a centinaia vi accorrevano soprattutto nell’ultimo giorno.  In tanti, devoti di Gesù Crocifisso, venivano anche dalla vicina Trabia per assistervi; era una sorta di rito penitenziale che faceva seguito alla funzione religiosa e che si svolgeva nella cappella di sinistra dedicata al miracoloso Crocifisso nero.

I teli, in numero di sette, raffiguravano alcuni particolari momenti della vita di Cristo e con l’ausilio di adeguati meccanismi venivano fatti salire dal basso verso l’alto, improprio quindi parlare di calata, e mostrati  tra canti e meditazioni ai fedeli oranti od inginocchiati .

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Ne ho personali se pur vaghi ricordi allorché, ai miei occhi di bambino, vedere quelle raffigurazioni era quasi come andare al cinema; si andava di buon mattino, perché il tutto iniziava intorno alle nove e perché a scuola si era già in periodo di vacanze pasquali.

Il sig. Russo, ultimo sacrestano della chiesa, affabile e cordiale era già sul posto pronto ad accogliere i fedeli; sistemava sedie e banchi accendeva ceri e lumini e preparava ogni cosa per la funzione religiosa alla quale ricordo prendeva parte più di un sacerdote.

Don Andrea, questo il suo nome, si svegliava quando era ancora buio; egli infatti andava prima a lavorare al mercato ortofrutticolo (u scaru) dove faceva il contabile e dopo, salendo per le viuzze del caratteristico quartiere delle Rocchecelle,  arrivava direttamente in chiesa.

Il sole del mattino, allora non c’era ancora l’ora legale, illuminava a giorno la chiesa e l’antistante giardino dove i fedeli, dopo le funzioni, si intrattenevano volentieri a parlottare godendo del magnifico panorama e scambiandosi  auguri  per la imminente Pasqua.

A calata di tili era una tradizione dal fascino e dalla suggestività direi unici; tradizione che purtroppo, tranne qualche occasionale e sempre più raro ritorno, si interruppe definitivamente intorno alla metà degli anni sessanta susseguentemente alla morte dello stesso sacrestano, avvenuta nel 1961, che ne era praticamente il principale sostenitore.

Le antiche tele, qualcuna non più originale, vengono ancora oggi  conservate presso la chiesa Madre ed esposte proprio nel periodo quaresimale, quasi a ricordo di quel passato  dal sapore antico di cui la nostra città ha perso memoria.


Nando Cimino


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